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Rame

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  • Episodio 115. Ho smesso di lavorare con l'arte: non potevo legarla a un profitto
    Serena Osti ha 40 anni e vive a Volano, in provincia di Trento. I suoi genitori, entrambi con storie di grandi ricchezze perdute alle spalle, crescono Serena nel culto del risparmio, senza però insegnarle a gestire il denaro: «Fino ai diciannove anni non avevo mai avuto denaro tra le mani. Il mio desiderio più grande era andare a lavorare per avere finalmente quei benedetti soldi».Dopo il liceo, Serena inizia a lavorare nei rifugi di montagna. Con quei primi guadagni si rende conto di quanto il modello familiare del risparmio sia radicato in lei: ogni euro viene speso con attenzione. Ma questa priorità data al guadagno influenza anche le sue scelte personali: pur desiderando l’Accademia di Belle Arti, opta per Design Industriale, convinta che quella laurea le avrebbe assicurato un futuro sicuro.Terminata l’università nel 2008, Serena trova nel crollo dei mercati finanziari e nell’incertezza sul futuro il coraggio di rischiare e inseguire il sogno che ha sempre sentito suo: diventare artista. Grazie a una borsa di studio Erasmus Plus, si trasferisce a Brighton e inizia un tirocinio come assistente di alcuni artisti. Qui scopre, con sorpresa, che tra arte e profitto esiste un legame molto più stretto di quanto avesse immaginato. Dopo un anno in Inghilterra, rientra a Bolzano, dove inizia a lavorare per un artista locale.Dopo sei anni nel mondo dell’arte, Serena si accorge che, pur valorizzando il lavoro degli altri, fatica a vedere riconosciuto il valore economico delle proprie creazioni. Ma non solo: fatica anche ad attribuire un prezzo a un lavoro così intimamente emotivo e legato a una disciplina libera e pura: «Non riuscivo a giustificare il fatto di guadagnare con ciò che facevo, dato che lavoravo con le emozioni delle persone. Per avere quella libertà totale, ho capito che non potevo legarla a un profitto personale».Così decide di interrompere il lavoro di artista e approda al mondo del marketing, dove trova un impiego solido e continuativo. Oggi lavora a tempo pieno e il suo stipendio è ben diverso da quando faceva arte. Anche il suo rapporto con il denaro è cambiato: «Mi sono ritrovata a passare da un ipercontrollo a zero controllo: ho scoperto il tempo libero, il weekend, la vita… Per me, però, l’idea di lavorare e rischiare di spendere lo stipendio di un mese resta impensabile, perché la storia della mia famiglia insegna che c’è sempre una ragione per mettere soldi da parte per qualcosa di migliore».
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    15:44
  • Episodio 114. Quando ho iniziato a essere gentile con me stessa, è migliorato anche il mio rapporto con i soldi
    Matilde ha 33 anni e lavora come impiegata in un’azienda di Firenze. Nata e cresciuta a Prato, la sua infanzia è segnata da paura e sopraffazione. «Ho avuto un padre molto violento. Era un pubblico ufficiale e rinfacciava a mia madre - casalinga - anche i beni di prima necessità che comprava per noi. Mi sono resa conto molto presto che i soldi erano qualcosa di importante, ma da bambina non volevo mi si comprasse nulla. Non chiedevo mai ciò di cui avevo bisogno, perché sapevo che avrei in qualche modo disturbato».A sedici anni, dopo un episodio di violenza particolarmente grave, la famiglia riesce a cacciare di casa il padre. Prima di andarsene, però, l’uomo svuota il conto corrente comune, lasciandole senza risorse. Il mantenimento, irrisorio, costringe la madre a lavorare instancabilmente, alternando attività diverse, mentre anche Matilde e la sorella - ancora minorenni - iniziano a contribuire economicamente. Dopo le superiori, Matilde si iscrive al Dams di Bologna grazie a una borsa di studio, e continua a vivere con la madre e la sorella minore. All’età di 22 anni scopre di essere lesbica. Il suo orientamento sessuale incontra l'incomprensione di sua madre, così decide di trasferirsi a Roma. Lì lavora in un negozio di abbigliamento e si iscrive alla Magistrale in Scienze della Comunicazione, sostenendo gran parte delle spese universitarie e contribuendo al sostentamento della madre. Gli anni romani sono difficili, contraddistinti da solitudine e fatica. In seguito si ritroverà a vivere a Milano, a Bologna e poi infine a Firenze, cambiando partner e lavoro, ma con una costante: «Ho sempre avuto un sistema punitivo molto rigido, anche con i soldi: pensavo di non meritare di spenderli, perché magari il giorno dopo avrei potuto averne bisogno per risolvere un problema».Oggi, Matilde percepisce uno stipendio di 1.600 euro al mese e, sebbene continui a fare fatica a spenderli o a risparmiare, il suo rapporto con i soldi sta pian piano cambiando, grazie al sostegno della compagna e alla psicoterapia: «Quando ero all’università, ogni volta che prendevo 30 mi premiavo con una pizza; se invece prendevo anche solo 29, ero capace di digiunare per punirmi, perché ritenevo di non essere stata abbastanza brava. Oggi il mio rapporto con il denaro è migliorato, e sto imparando a concedermi dei piaceri, ma è stato un percorso piuttosto difficile».
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    19:07
  • Episodio 113. L'arte di proteggere i sogni
    Camilla Ragazzi ha 36 anni e lavora come consulente legale. È cresciuta a Bologna in una famiglia che lavorava senza sosta, ma senza mai avere una riserva di sicurezza: «Ogni imprevisto, ogni incidente, era in grado di mettere in crisi l’intera famiglia. Così, crescendo, mi sono detta che la priorità nella vita è avere un backup».Dopo gli studi in giurisprudenza e l’ingresso nel pubblico impiego, un risarcimento per un incidente del padre le fa capire concretamente l’importanza di gestire e proteggere un cuscinetto d’emergenza: «All’inizio, quando ti arriva una somma di denaro, la prima domanda è: “E adesso cosa ci faccio?”. E l’incertezza spesso porta a spenderlo. Poi realizzi quanto sia importante avere una riserva che ti permetta di affrontare le difficoltà con serenità». Con Paolo, il compagno di vita, Camilla coltiva la passione per i viaggi. Dopo una vacanza in van decidono di trasformare quel sogno in un progetto duraturo: acquistano e ristrutturano un camper, mettono la casa in affitto, adottano uno stile minimalista e iniziano a investire i risparmi. Una scelta che non nasce dall’improvvisazione, ma da un’attenta pianificazione: «Abbiamo fatto un inventario dei nostri asset e pianificato come proteggere il progetto. Sapere di avere un cuscinetto ti dà la sicurezza necessaria per portare avanti davvero un sogno».Oggi Camilla e Paolo vivono viaggiando e raccontano la loro esperienza online. Per lei, il fondo d’emergenza non è più solo una rete di salvataggio, ma la garanzia che rende possibile vivere secondo i propri desideri.
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    16:35
  • Episodio 112. Solo con la gravidanza, ho ritrovato il coraggio di rischiare
    Simona Cammarata ha 46 anni e vive a Ragusa, città dove è nata e cresciuta in una famiglia monoreddito, in cui solo il padre percepiva un introito fisso. Quando Simona ha 11 anni, però, il padre decide di mettersi in proprio, aprendo un’impresa. Quello che sembrava un passo verso il miglioramento delle loro condizioni si rivela una sfida piena di ostacoli. «Siamo passati da una situazione di stipendio fisso e sicurezza a dover seguire le ambizioni di mio padre».Nonostante le incertezze, le figlie riescono a iscriversi all’università: Simona sceglie Economia, mentre la sorella intraprende Veterinaria. Entrambe fuorisede a Catania. Durante gli anni universitari, Simona inizia a immaginare un futuro che va oltre i confini della Sicilia. Le sue passioni prendono forma tra le lezioni di economia dello sviluppo e le ricerche sui Paesi emergenti. Ma mentre i suoi orizzonti si aprono, l’azienda di famiglia va in crisi. Il padre vende le quote e accetta un impiego al Nord. E Simona è chiamata a gestire la situazione che lui si è lasciato alle spalle, rinunciando così ai suoi sogni. «Ricordo ancora quando, a 25 anni, neolaureata e con una preparazione solo teorica, entrai in banca a chiedere una dilazione di pagamento». Una volta laureata, sceglie la strada che le sembra più sicura: diventare commercialista. «Probabilmente, con la sicurezza di una famiglia capace di supportarmi, mi sarei sentita più libera di sperimentare, magari andando all’estero o provando altri tipi di consulenza». Simona, se non altro, prova a essere il paracadute di sua sorella, affinché almeno lei non avesse paura di realizzarsi fuori dai confini della Sicilia. «Mia sorella colse al volo l’opportunità di lavorare in Belgio e da allora non è più tornata». Dopo l’abilitazione Simona apre la partita Iva, ma continua a collaborare con altri studi. Le scelte economiche dei suoi genitori non avevano solo condizionato il suo percorso, ma anche la sua personalità, rendendola meno propensa a rischiare. «Benché avessi clienti miei, non riuscivo a sganciarmi da altri studi. Cercavo sempre di mantenere quella base che un po’ mi dava sicurezza. Non solo: accettavo lavori in maniera bulimica, anche se mi capitavano clienti problematici, prendevo tutto».Il punto di svolta arriva quando Simona affronta la gravidanza. «Mi ero accorta che non avevo più tempo né per la mia famiglia né per me, così ho deciso di rischiare: lasciare lo studio e di mettermi totalmente in proprio». A dispetto delle paure iniziali, le entrate di Simona iniziano a stabilizzarsi, permettendole per la prima volta di guardare oltre la semplice sopravvivenza economica. E di imparare a lasciare andare ciò che, pur garantendo un buon guadagno, spesso non rappresenta il giusto compromesso con il proprio benessere. «Il focus era cambiato: si trattava di scegliere incarichi che mi permettessero di gestire meglio il mio tempo, di avere tempo di qualità».
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    14:51
  • Episodio 111. Da tre anni, dono il 10% del mio reddito
    Luca Stocco ha 26 anni e vive a Torino, anche se è originario di Monfalcone, una cittadina di circa 30.000 abitanti nel Friuli Venezia Giulia. Nato e cresciuto in una famiglia umile, fin da adolescente ha un sogno chiaro: diventare batterista. Così, per sostenere la sua passione, si iscrive alla triennale in Scienze e Tecnologie Multimediali a Pordenone.Intorno ai 18-19 anni, Luca legge un libro destinato a cambiargli la vita: The Life You Can Save, del filosofo Peter Singer. Il testo affronta il tema delle disuguaglianze economiche a livello globale e pianta in Luca un seme importante. Sebbene inizialmente il libro venga messo da parte, quel pensiero rimane con lui e quando arriva il momento di scegliere la magistrale, Luca decide di abbandonare il sogno musicale e si trasferisce a Milano per iscriversi a un corso che unisce filosofia e scienze politiche, con un forte focus su filosofia politica e morale: «Leggendo e informandomi sempre di più, mi è rimasto il pensiero fisso del "forse posso fare qualcosa di più significativo" con la mia carriera. E col tempo, quella è diventata una domanda centrale per me».Durante gli studi a Milano, Luca inizia a collaborare con alcune organizzazioni benefiche e a guadagnare i suoi primi soldi. Decide così di iniziare a donare, ma non in modo casuale: scopre l’esistenza di una comunità globale di oltre 10.000 persone impegnate a donare il 10% del proprio reddito, basandosi su rigorosi criteri di costo-efficacia per scegliere a chi destinare le proprie risorse. Alcune organizzazioni, infatti, con la stessa somma riescono ad aiutare molte più persone rispetto ad altre.Proprio da questa lista, Luca seleziona le charity a cui destinare il suo 10%. «In particolare, c’è New Incentives, che incentiva i genitori a vaccinare i bambini nel nord della Nigeria, dove i tassi di vaccinazione sono molto bassi. C’è poi Helen Keller International, che distribuisce micronutrienti e integratori di vitamina A, la cui carenza è la principale causa di cecità prevenibile nei bambini. Poi, un altro tema a cui tengo molto è il benessere degli animali non umani, soprattutto negli allevamenti intensivi».Appena finita l’università, Luca decide di partecipare a un programma di incubazione per progetti ad alto impatto sociale. E dopo quest’esperienza, insieme a un socio, fonda Benefficienza, un'organizzazione non profit che ha la missione di aiutare i donatori in Italia a fare scelte più informate quando donano al fine di massimizzare l'impatto.«Quindi, di fatto, la passione che ho sviluppato negli ultimi anni, da quando ho firmato l’impegno del 10%, è stata quella di capire come fare del bene con le mie donazioni. Ora cerco di aiutare altre persone a fare la stessa cosa. Benefficenza vuole essere proprio un anello di congiunzione tra i donatori in Italia e tutte queste ricerche a livello globale, che permettono di fare scelte molto più informate e, di conseguenza, potenzialmente centuplicare l’impatto generato senza spendere un euro in più».
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    16:25

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Acerca de Rame

Rame è la serie podcast di una community che vuole sfatare il tabù dei soldi. Nasce all'interno di una piattaforma (www.rameplatform.com) che attraverso i suoi contenuti si pone l’obiettivo di avviare una rivoluzione culturale nella società, che trasformi la finanza personale in un argomento di conversazioni audaci e liberatorie. Annalisa Monfreda, ogni settimana, dialoga con un ospite diverso seguendo il filo della sua storia economica. Parlare di soldi può essere intimo e coinvolgente, rivelatorio ed eccitante. E si finisce sempre per svelare chi siamo e ciò in cui crediamo.
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