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L'ombelico di un mondo

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L'ombelico di un mondo
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5 de 17
  • Il Lenin di Romagna
    Alla fine dell’Ottocento, negli 11 chilometri che separano Predappio e Civitella di Romagna, tra il 1879 e il 1892 nacquero tre figure destinate a influenzare la storia italiana della prima metà del Novecento: tutti proletari. Tutti rivoluzionari. Tutti fuori dal normale: Benito Mussolini figlio di un fabbro, Leandro Arpinati di un oste, Nicola Bombacci di un birocciaio...Nicola Bombacci, fondatore del Partito comunista e finito appeso per i piedi al distributore di benzina di Piazzale Loreto è il protagonista di questa puntata speciale di L’Ombelico di un mondo, successa live all'evento Voices del Post il 5 aprile 2025. Learn more about your ad choices. Visit megaphone.fm/adchoices
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    37:28
  • Operazione Vacanze romane
    Nell’ultima puntata della seconda stagione di L’ombelico di un mondo si racconta la storia di un film che ha portato l’Italia al centro del mondo: Vacanze romane. E di una donna – l’ambasciatrice americana a Roma, Clare Boothe Luce – che cercò di trasformare il successo planetario di quella pellicola in un emblema dello stile di vita americano.Fu un esempio perfetto di soft power: la capacità degli Stati Uniti di influenzare gli italiani senza ricorrere alla forza o a incentivi economici, ma attraverso la cultura, i valori e la seduzione dell’immagine. In sostanza, spingere gli spettatori a desiderare il benessere dell’Occidente.Ma lo stile di Boothe Luce non era soltanto “soft”. Disprezzava i dirigenti democristiani, che considerava troppo deboli contro i comunisti. Ricattò industriali italiani minacciando di bloccare le commesse negli Stati Uniti se nelle loro aziende la CGIL fosse stata troppo forte. Aprì le porte dell’ambasciata ai fascisti dell’MSI e arrivò a discutere con Indro Montanelli la possibilità di un golpe in caso di vittoria elettorale del PCI.Attrice, scrittrice, politica, figura carismatica, Clare Boothe Luce non esitò a usare il proprio fascino per raggiungere i suoi obiettivi, lasciando un segno nella storia italiana della metà degli anni ’50. Learn more about your ad choices. Visit megaphone.fm/adchoices
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    1:07:02
  • Le feste de l'Unità
    Le Feste de l’Unità si organizzano in Italia da ottant’anni. In questa puntata de L’ombelico di un mondo, Francesco Guccini ci riporta alle feste bolognesi della metà degli anni ’60 e racconta lo stupore dei suoi studenti americani, abituati a un’immagine cupa e minacciosa del comunismo, quando si trovarono davanti militanti sorridenti che offrivano loro coccarde e bicchieri di vino. Ma le Feste furono molto più di un appuntamento popolare. Furono un’espressione concreta della rinascita nazionale. Dopo il 25 aprile 1945, con la fine della guerra e della dittatura, l’Italia si scoprì attraversata da un desiderio profondo di riconciliazione e da una voglia diffusa di libertà. In quel clima di entusiasmo collettivo, il Partito Comunista Italiano rilanciò l’Unità non solo come quotidiano, ma come simbolo della ricostruzione democratica. A pochi mesi dalla Liberazione, nel luglio del 1945, l’Unità annunciò la nascita dell’associazione “Amici de l’Unità“, nata per sostenere la diffusione del giornale in un paese che usciva dalla clandestinità e si affacciava alla democrazia. In autunno partì la mobilitazione: le Settimane de l’Unità, cominciate in Veneto e Friuli, si estesero presto all’Emilia-Romagna e alla Lombardia. Era l’inizio di una campagna di promozione e presenza capillare che avrebbe attraversato i decenni.Proprio in quel clima di ricostruzione e speranza nacquero le prime Feste de l’Unità. In Veneto, fin da subito, si trasformarono in eventi di massa. Restò celebre la parata galleggiante sul Canal Grande, a Venezia, nell’estate del 1946: fu definita “la prima notte luminosa” dopo anni di buio. Chi lavorava come volontario lo faceva con passione e spirito di emulazione: si voleva superare la festa dell’anno precedente, fare meglio della sezione vicina. Ma non era solo competizione. Era un modo per dimostrare, con i fatti, che quel modo di stare insieme e fare politica era giusto, concreto, efficace. Le Feste si diffusero in tutta Italia, richiamando ogni anno milioni di persone. Non erano soltanto eventi politici: erano riti collettivi, accanto al cibo c’erano momenti di cultura, teatro, musica, dibattito. Occasioni in cui si rafforzava il legame con il territorio e si costruiva un’idea di Paese più giusta, più partecipata, più solidale. Learn more about your ad choices. Visit megaphone.fm/adchoices
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    49:16
  • Il triangolo della morte, parte 1
    Alla fine della Seconda guerra mondiale, l’Europa fu attraversata da un’ondata di violenze e omicidi illegali. L’intensità e le modalità variarono da paese a paese, ma ovunque lasciarono un segno profondo. In Italia si contarono circa 8.000 vittime, anche se una stima precisa è difficile da fare. Nelle prime settimane dopo la Liberazione regnava l’incertezza: il PCI non aveva ancora una linea chiara su come affrontare le tante esecuzioni sommarie che si moltiplicavano. Ma non furono solo i comunisti a farsi giustizia da soli: anche i socialisti e i partigiani di Giustizia e Libertà furono coinvolti in queste dinamiche. L’amnistia voluta dal ministro della Giustizia, Palmiro Togliatti, coprì molti reati politici commessi fino al 31 luglio 1945, e segnò un tentativo di pacificazione nazionale e di mettere fine alle vendette e agli episodi di violenza illegale. Tuttavia, il clima restò teso a lungo. Dopo l’attentato a Togliatti del 14 luglio 1948, iniziò una repressione sistematica contro chi aveva fatto parte della Resistenza: presero il via i grandi processi contro i partigiani e si aprì una lunga stagione di epurazioni nelle fabbriche e arresti dei militanti comunisti con un tentativo di mettere fuori legge il PCI. Quando si parla degli omicidi avvenuti in Italia dopo il 25 aprile 1945, si usa spesso – per convenzione – l’espressione “Triangolo della morte” o “Triangolo rosso” per indicare quanto accadde nelle province di Reggio Emilia, Modena e Bologna. Non perché tutto si sia limitato a quelle zone, ma perché è lì che si concentrarono i casi più controversi e meglio documentati. Learn more about your ad choices. Visit megaphone.fm/adchoices
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    36:36
  • Il triangolo della morte, parte 2
    Alla fine della Seconda guerra mondiale, l’Europa fu attraversata da un’ondata di violenze e omicidi illegali. L’intensità e le modalità variarono da paese a paese, ma ovunque lasciarono un segno profondo. In Italia si contarono circa 8.000 vittime, anche se una stima precisa è difficile da fare. Nelle prime settimane dopo la Liberazione regnava l’incertezza: il PCI non aveva ancora una linea chiara su come affrontare le tante esecuzioni sommarie che si moltiplicavano. Ma non furono solo i comunisti a farsi giustizia da soli: anche i socialisti e i partigiani di Giustizia e Libertà furono coinvolti in queste dinamiche. L’amnistia voluta dal ministro della Giustizia, Palmiro Togliatti, coprì molti reati politici commessi fino al 31 luglio 1945, e segnò un tentativo di pacificazione nazionale e di mettere fine alle vendette e agli episodi di violenza illegale. Tuttavia, il clima restò teso a lungo. Dopo l’attentato a Togliatti del 14 luglio 1948, iniziò una repressione sistematica contro chi aveva fatto parte della Resistenza: presero il via i grandi processi contro i partigiani e si aprì una lunga stagione di epurazioni nelle fabbriche e arresti dei militanti comunisti con un tentativo di mettere fuori legge il PCI. Quando si parla degli omicidi avvenuti in Italia dopo il 25 aprile 1945, si usa spesso – per convenzione – l’espressione “Triangolo della morte” o “Triangolo rosso” per indicare quanto accadde nelle province di Reggio Emilia, Modena e Bologna. Non perché tutto si sia limitato a quelle zone, ma perché è lì che si concentrarono i casi più controversi e meglio documentati. Learn more about your ad choices. Visit megaphone.fm/adchoices
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    46:29

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Acerca de L'ombelico di un mondo

Il mondo, la politica, gli anni '50: raccontati dal posto dove è passato tutto. Un podcast del Post, scritto e raccontato da Claudio Caprara
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